Il vero eroe italiano

«Mi chiamo Alex Zanardi e sono un pilota»: così aveva iniziato il suo intervento durante la cerimonia di apertura dei IX Giochi Paralimpici invernali di Torino 2006.

Un eroe che, però, non ama essere definito tale: «Mi peserebbe se decidessi di avvertire una responsabilità», ha dichiarato qualche anno fa a “Che Tempo Che Fa”, «Non ho nessun diritto a sentirmi un esempio per gli altri. Nel mio percorso riabilitativo ho conosciuto tante persone nella mia condizione, che fanno cose altrettanto importanti. Quando ti trovi in certe situazioni devi organizzarti, e darti da fare».

 

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«Fino a pochi anni fa ero semplicemente un pilota. Era il miosogno da bambino. Ho vissuto tante giornate speciali, e ho imparato a trasformare le emozioni in energia positiva». Bolognese di nascita, classe 1966, la passione per i motori fa parte della sua vita fin dall’infanzia. Inizia a gareggiare sui kart e col passare degli anni arriva ad ottimi livelli: il passo è breve ad arrivare alla Formula 3, e poi alla Formula 1, sostenuto dal manager Eddie Jordan. Tante scuderie e GP disputati, il passaggio negli Stati Uniti, e poi il ritorno in F1 con il Team Williams: non saranno rose e fiori, e a fine stagione, Zanardi se ne andrà, ritirandosi a Montecarlo con la famiglia. Nel 2001 torna nella CART, fino a che, il 15 settembre nel circuito tedesco di Lausitzring a 13 giri dalla fine, riprende la pista dopo una sosta ai box, e nel tentativo di pulire la visiera dagli schizzi di carburante, perde il controllo della macchina che, dopo un testa coda, rientra trasversalmente al sopraggiungere della vettura di Alex Tagliani. Un colpo netto, micidiale, che trancia l’auto all’altezza delle sue anche, con la conseguente amputazione degli arti inferiori. Zanardi non molla, mai: dopo la riabilitazione torna in pista con la gentilezza e la nobiltà che da sempre l’hanno contraddistinto, e cambiando prospettiva per la sua nuova vita.

 

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«Sono un privilegiato», dichiara: «Ho capito che il segreto per vivere bene è godersi il percorso perché quando tagli il traguardo è finita e subentra sempre un po’ di malinconia. È importante avere degli orizzonti che ti guidano verso una direzione, ma ti devi godere il percorso: ci sono cose che accadono, più rapidamente e ti colgono per sorpresa e ti emozionano».

In fondo, dopo quello delle auto che ha guidato nella sua vita, il vero motore della sua vita è lui stesso: nel 2003 torna nel fatidico circuito tedesco per ripercorrere i rimanenti giri della gara di due anni prima, a bordo di una vettura realizzata appositamente, e lo fa in tempi talmente buoni che gli avrebbero permesso di partire dalla quinta posizione, se fosse stato iscritto al campionato.

«A volte mi capita di andare a parlare nelle scuole, firmo gli autografi, faccio le foto. È bellissimo, però dico ai ragazzi che sono io che invidio loro, perché tutte queste cose le possono ancora fare, perché ancora all’inizio del percorso. Devi avere voglia di partire, più che di arrivare». Ed è quello che è riuscito a fare negli ultimi 14 anni al di fuori dei circuiti automobilistici a strabiliare: dopo l’uscita del libro scritto con Gianluca Gasparini, “… Però, Zanardi da Castelmaggiore!”, arrivano le esperienze nel mondo della tv, “E se domani” e “Sfide”, e la partecipazione alle Paralimpiadi di Londra sulla handbike con la conquista del gradino più alto del podio, per la prima volta nella sua vita. «Io mi diverto: al traguardo, con il piacere del momento, c’è la nostalgia per il percorso fatto. La curiosità mi ha spinto a guardarmi intorno per trovare nuove prospettive». E così il 12 ottobre 2014 alle Hawaii partecipa ai Campionati del Mondo di “Ironman”, gareggiando a nuoto per 3,8 km, con la handbike per 180 e con la carrozzina olimpica per la distanza della maratorna (42 km). Il tutto in meno di 10 ore. A gara conclusa, scrive su Twitter: «Che emozione: migliaia di persone che urlano il tuo nome e lo speaker che dichiara: Alex Zanardi, you are an ironman!». La handbike è il mezzo con cui riesce a volare, letteralmente: «Quando arrivai in Bmw Italia con il cappello in mano mi guardarono come un pazzo. Basta corse automobilistiche, voglio concentrarmi sull’handbike, dichiarai». Un mezzo dove c’è gente che arriva ai 42km/h nella 20 km: «Con l’handbike c’è gente che va fortissimo. Ne sono stato subito catturato».

 

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E poi c’è Bimbingamba, associazione nata con l’obiettivo di realizzare protesi per i bambini che hanno subito amputazioni e che non possono usufruire dell’assistenza sanitaria, e che ha lanciato anche il progetto Bimbingamba – Sport per avviare alla pratica dell’handbike i bambini amputati o con lesioni spinali. L’Associazione è dedicata a Franco Ferri, che non c’è più: «Di lui è rimasta la passione per quello che all’inizio era solo un progetto», scrive, «era un grande Tecnico Ortopedico, che nella fase più importante della mia riabilitazione, era stato il mio “Caposquadra”».

Tutto questo (e molto altro) ha portato Alex ad aggiudicarsi il secondo posto (in linea H5) alle ultime Paralimpiadi di Rio, e soprattutto i due ori nella staffetta mista e nella cronometro H5. Il tutto all’alba dei 50 anni. Dichiara a fine Paralimpiade: «Battere i giovani mi accende i neuroni. Da “grande” farò l’imprenditore. Ho tante idee in testa, anche nel campo dell’handbike: mi piacerebbe produrre un mezzo che possa essere usato anche dai normodotati». Se questo non è un eroe…

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